Mobilitazione contro il global warming e i signori dei fossili
A luglio la Commissione Ue ha approvato diverse misure per attuare l’obiettivo “Fit 55”. Visto da alcuni come una rivoluzione energetica, trova già corposi interessi a contrastarlo.
Massimo Scalia
15 Novembre 2021
In queste ultime settimane, mentre l’accelerazione, e l’aggravarsi, della crisi climatica si manteneva
purtroppo ancora lontana dal diventare priorità del discorso pubblico, è piombato come una mazzata il VI rapporto dell’Ipcc (del Working Group
I) ad ammonire ancora una
volta che: «non c’è più
tempo». L’urgenza e il
ripetersi degli appelli dell’Ipcc
negli ultimi anni fa scolorire
quelle previsioni che, ancora
dieci anni fa, dipanavano con
gradualità il dramma climatico
nel corso di tutto il nostro
secolo, incoraggiando così
l’idea che ci fosse ancora
tempo. L’urgenza ha invece
trovato nel 2030 l’anno di
riferimento, quel “tipping
point” dal quale non si
torna più indietro,
anticipato di vent’anni,
rispetto al precedente 2050,
già nel V rapporto dell’Ipcc
(2014). Un riferimento di
successo, visto che il 2030 è
diventato un po’ in tutto il
mondo, sicuramente in
Europa, la data con la quale
devono misurarsi politiche
economiche, industriali e
ambientali per conseguire i loro obiettivi energia/clima. Di più, Next Generation Eu raccomanda
che venga realizzato entro il 2025
almeno il 40% degli obiettivi
energia/clima fissati per il 2030. La
significativa consapevolezza politica Ue
dell’accelerazione dei drammatici
effetti del global warming — “non
c’è più tempo” — ci deve stimolare a
proporre proprio il 2025 come anno
sul quale misurare l’efficacia dei
programmi e degli sforzi per
realizzarli. Assumere solo il 2030
sarebbe indulgere a ritardi, anche
burocratici, in dissonante contrasto con
l’angoscia dell’urgenza.
In contrasto con questa urgenza si stanno
muovendo da un lato le lentezze attuative, dall’altro, nel nostro Paese, l’opposizione di uno dei due grandi enti
energetici nazionali, l’Eni, che dovrebbe assumere un ruolo propulsivo. Al contrario, si prodiga per mantenere l’Italia
nell’era dei fossili, come testimonia, tra l’altro, la sua insistenza sul progetto “Carbon Capture and Storage” (Ccs) per
il quale ha avanzato la richiesta di utilizzo di una licenza nel mare al largo di Ravenna. Contro il Ccs si è espressa la
Regione Emilia-Romagna e, sul piano tecnico-industriale, Henrik Andersen, responsabile delle politiche low carbon per Equinor, una grande azienda petrolifera che però opera su tutti fronti dell’energia.
Alcuni di noi hanno denunciato, anche tramite una diffida legale al suo gruppo dirigente affinché cambi rotta, il comportamento dell’Eni e le sue conseguenze, segnalandolo, atteso il carattere pubblico dell’Ente, all’attenzione del premier e dei ministri competenti: danneggiare la salute dei cittadini con le emissioni inquinanti, continuare ad alimentare il global warming e, pertanto, compromettere gli obiettivi energia/clima del Piano Nazionale di Resilienza e Recupero (Pnrr) nonché lo stesso futuro dell’Ente. È infatti inaccettabile che l’Eni mantenga il vergognoso obiettivo 2030 del 25% di riduzione delle emissioni climalteranti, in fragoroso contrasto con il 55% richiesto a dicembre 2020 dal Consiglio d’Europa, dopo che Parlamento Ue e Commissione Ue lo avevano già adottato nel corso del 2020. E a luglio scorso la Commissione Ue ha approvato un importante pacchetto di misure volte ad attuare l’obiettivo: “Fit 55” che, visto da alcuni come una rivoluzione energetica, trova già corposi interessi a contrastarlo.
Il 26 maggio scorso un tribunale olandese ha intimato alla Shell di portare al 45% entro il 2030 la riduzione delle sue emissioni. Se l’Eni non è in grado di conseguire da sola un obiettivo di riduzione decente, si attivi l’intesa Enel/Eni per la decarbonizzazione dei siti Eni “hard to abate”. L’altro grande ente energetico, Enel, si è infatti allineato a Next Generation Eu e sta rinunciando a nuovi investimenti sul gas, grazie anche a una lotta popolare che a Civitavecchia ha coinvolto insieme ai cittadini le amministrazioni territoriali e i sindacati. Una durezza senza se e senza ma va praticata nei confronti dell’Eni e della sua insistenza a mantenere come core business solo gli idrocarburi, ampiamente giustificata dai grandi cambiamenti che stanno avvenendo proprio in quel settore e che vale la pena elencare:
Alcuni di noi hanno denunciato, anche tramite una diffida legale al suo gruppo dirigente affinché cambi rotta, il comportamento dell’Eni e le sue conseguenze, segnalandolo, atteso il carattere pubblico dell’Ente, all’attenzione del premier e dei ministri competenti: danneggiare la salute dei cittadini con le emissioni inquinanti, continuare ad alimentare il global warming e, pertanto, compromettere gli obiettivi energia/clima del Piano Nazionale di Resilienza e Recupero (Pnrr) nonché lo stesso futuro dell’Ente. È infatti inaccettabile che l’Eni mantenga il vergognoso obiettivo 2030 del 25% di riduzione delle emissioni climalteranti, in fragoroso contrasto con il 55% richiesto a dicembre 2020 dal Consiglio d’Europa, dopo che Parlamento Ue e Commissione Ue lo avevano già adottato nel corso del 2020. E a luglio scorso la Commissione Ue ha approvato un importante pacchetto di misure volte ad attuare l’obiettivo: “Fit 55” che, visto da alcuni come una rivoluzione energetica, trova già corposi interessi a contrastarlo.
Il 26 maggio scorso un tribunale olandese ha intimato alla Shell di portare al 45% entro il 2030 la riduzione delle sue emissioni. Se l’Eni non è in grado di conseguire da sola un obiettivo di riduzione decente, si attivi l’intesa Enel/Eni per la decarbonizzazione dei siti Eni “hard to abate”. L’altro grande ente energetico, Enel, si è infatti allineato a Next Generation Eu e sta rinunciando a nuovi investimenti sul gas, grazie anche a una lotta popolare che a Civitavecchia ha coinvolto insieme ai cittadini le amministrazioni territoriali e i sindacati. Una durezza senza se e senza ma va praticata nei confronti dell’Eni e della sua insistenza a mantenere come core business solo gli idrocarburi, ampiamente giustificata dai grandi cambiamenti che stanno avvenendo proprio in quel settore e che vale la pena elencare:
- Nel corso del 2020 le maggiori compagnie Oil&Gas hanno distolto ben 87 miliardi di dollari da quel mercato.
- La Iea, l’agenzia dell’energia dei Paesi Ocse — che raccoglie tutti i Paesi del mondo “avanzato” e che non è sospettabile di simpatie per le fonti energetiche rinnovabili, anzi — nel suo rapporto “Net Zero by 2050” ha detto con grande chiarezza: “there are no new oil and gas fields approved for development in our pathway” (non c’è nessun nuovo campo di petrolio o di gas approvato per lo sfruttamento nel nostro percorso).
- Le principali compagnie europee Oil&Gas si sono dati importanti obiettivi sulle rinnovabili al 2030: 100 GW per Total, 50 GW per BP. Il target dell’Eni è invece di soli 15 GW. E non vale certo la piccola operazione di mercato con cui ha comprato a luglio, tramite Glenmont partners e Pggm Infrastructure un po’ di eolico nel nostro Sud.
- La “linea del Piave” climatica sia il 2025, anno sul quale traguardare obiettivi e piani di governo impegnandoci ogni giorno per la loro realizzazione.
- Attuare la raccomandazione Ue del “40%”, almeno 28 GW di solare ed eolico entro quella data.
- Il gruppo dirigente Eni cambi immediatamente rotta, il 25% di riduzione sia realizzato entro il 2025.
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