Il danno dell’elettrone
Ecco perché non si devono aumentare i limiti di esposizione alle radiazioni elettromagnetiche
Massimo Scalia, Massimo Sperini
15 Novembre 2021
“Strategia per la banda ultralarga” e “Crescita
digitale” evocano nuove appetibili fruizioni, un
allargamento delle possibilità di comunicazione
e una sua velocizzazione che sono utili e
piacciono alla stragrande maggioranza dei
cittadini, oltre ad alludere a un progresso
tecnologico in un settore nel quale l’Italia
decisamente arranca. Che cosa c’è di storto,
allora? La solita “elettrofobia”, quale rimbombò
con un certo successo mediatico ai tempi
delle antenne di RadioVaticana nei primissimi
anni 2000? Senza entrare nel merito di una
valutazione delle tecnologie a radiofrequenza
o microonde che verranno impiegate – Wi-
Fi, radar, ripetitori della radiofonia, della
radiotelevisione e della telefonia mobile – e
dell’analisi dei loro possibili effetti biologici e
sanitari, vogliamo proporre alcuni argomenti
di carattere generale, ma non generico, per
far capire quale grave errore sarebbe se,
all’interno dei provvedimenti che il Governo
intende varare in materia, venisse contemplato
un innalzamento dei limiti di esposizione
rispetto all’attuale normativa italiana,
accettando un conseguente ulteriore aumento
dell’inquinamento elettromagnetico nelle aree
pubbliche più sensibili: scuole, ospedali, luoghi di lavoro. Da qui il nostro appoggio ai molteplici
appelli che in questo senso medici, fisici, biologi,
ingegneri e ricercatori, associazioni e comitati
stanno già rivolgendo ai massimi esponenti
istituzionali e del Governo.
Campi naturali e artificiali
Un primo e fondamentale argomento richiama l’evoluzione che l’ambiente naturale ha subìto a causa dei campi elettromagnetici prodotti artificialmente dai dispositivi elettronici, la cui diffusione è proceduta in progressione geometrica a partire dal Secondo Dopoguerra. Vi avevamo fatto cenno in un precedente articolo su QualEnergia (“Il fascino discreto del BEM”, n. 2, 2014), ma è il classico caso del repetita iuvant, magari con l’appoggio di qualche immagine. Sull’arco di milioni di anni, e per quel che riguarda noi – homo sapiens – gli ultimi duecentomila, i mammiferi hanno stabilito un equilibrio con l’ambiente elettromagnetico naturale, i cui valori riportiamo in tabella11. La Terra, come si sa, è dotata di un suo campo elettrostatico e di un suo campo magnetostatico e poi di campi variabili nel tempo su un’ampia banda di frequenze, dovuti a fenomeni naturali. La caratteristica di questa attività elettromagnetica naturale è di essere in generale prodotta – per quel che riguarda la variabilità nel tempo, cioè la frequenza – nella forma di spike, di impulsi distribuiti nel tempo in modo casuale e non continuo. La rappresentazione grafica in funzione del tempo di questa situazione, che è il fondo naturale elettromagnetico, corrisponderebbe a brevi tratti di curve che descrivono oscillazioni irregolari, casualmente presenti nelle diverse regioni di frequenza. Insomma, lo spettro sarebbe essenzialmente “vuoto” se non per alcune bande; un modello possibile è quello rappresentato in figura 1, nella quale si vede l’andamento tipico della componente magnetica di un campo elettromagnetico dovuto all’attività temporalesca. L’intervallo di tempo nel quale il campo magnetico si mantiene apprezzabilmente diverso da zero è di soli 0,2 ms circa, il valore di picco è di 50 nanoTesla. Al contrario, la presenza dei campi artificiali ha progressivamente invaso con continuità tutto lo spettro elettromagnetico, almeno fino ai 3 GHz (1 GHz = 1.000 MHz), giustificando il concetto di “inquinamento elettromagnetico”, o elettrosmog, e producendo una situazione come quella rappresentata nelle figure 2 (lo spettro si estende da 26 MHz a 3 GHz. Il primo picco a sinistra indica le trasmissioni radio in FM. Subito dopo la frequenza di 400 MHz iniziano le trasmissioni della TV digitale. Intorno a 900 MHz c’è la telefonia GSM e i due picchi centrati a 1,9 GHz e 2,2 GHz sono le emissioni del sistema UMTS) e 3 (nello stesso intervallo di frequenza della Fig. 2, lo spettro registrato al chiuso mostra gli stessi picchi nelle stesse bande, ma qui il fondo è circa la metà (10 mV/m). Vale in generale per le abitazioni). Il confronto tra le due situazioni, fondo naturale/fondo artificiale, richiederebbe un’analisi dello spettro analoga, oggi non disponibile, a quella di Fig. 2 in un ambiente però incontaminato. Al momento, si può far riferimento al valore efficace di picco del fondo naturale, che nella regione delle alte frequenze ([10 MHz, 3.000 MHz]) è pari a 194 μV/m (circa 0,2 mV/m) (vedi Tab. 1). Assumendolo come valor medio si sopravvaluta fortemente l’entità reale del fondo naturale, ma il valore medio del fondo artificiale – pari a circa 20 mV/m, come si può agevolmente desumere da Fig. 2 – risulta almeno cento volte superiore a quello naturale, nonostante l’approssimazione per eccesso. Se poi si guarda a misure di campo eseguite immediatamente fuori o anche dentro abitazioni e scuole, da 2 V/m a 20 V/m, in aree esposte ad antenne a radiofrequenza, in questi hot spots (“punti caldi”) il valore medio di campo è superiore dalle diecimila alle centomila volte a quello del fondo naturale nella stessa regione di frequenza. Queste considerazioni fanno ben comprendere, innanzi tutto, che il confronto tra campi artificiali e campi naturali va fatto con i valori che essi hanno nelle diverse bande di frequenza, assai diversi, e non con il caso statico. E come siano del tutto fuorvianti certe affermazioni pubbliche, pensiamo a quelle fatte da Umberto Veronesi nella sua duplice veste di scienziato e Ministro della Sanità ai tempi della questione di Radio Vaticana nella primavera del 2001: «..siamo dunque adatti, evolutivamente parlando, al campo elettromagnetico terrestre, come dire che le nostre cellule sono naturalmente compatibili con questo genere di radiazioni». (Corsera, 10 aprile 2001). Certo che si è stabilito un equilibrio evolutivo delle nostre cellule e del nostro organismo con i campi elettromagnetici presenti sulla Terra, ma sull’arco di duecentomila anni e con i valori naturali dei campi! È più che comprensibile allora che non solo l’uomo della strada si ponga l’interrogativo di che cosa succeda a un equilibrio perturbato da un così forte scossone: l’aumento esponenziale dei valori dei campi conseguito negli ultimi sessant’anni, cioè in un tempo assai piccolo, meno di un millesimo della durata temporale su cui si è dispiegata la storia evolutiva di homo sapiens. Questa considerazione ha poi un carattere più generale, perché la contrazione temporale di processi naturali indotta dalle attività dell’uomo ha in generale creato profondi squilibri. Basti pensare all’immissione di decine di migliaia di nuove specie chimiche introdotte nell’ultimo secolo in un ambiente naturale rimasto chimicamente “costante” per intere ere geologiche. O all’analogia coi cambiamenti climatici, dove l’aumento di concentrazione della CO2 negli ultimi 50 anni, dovuta eminentemente ai consumi dei combustibili fossili impiegati nelle attività umane, è stato pari a quello che in altre epoche della storia del clima ha richiesto 5.000 anni; ed è proprio questa contrazione temporale di un fattore cento che misura l’azione forzante, com’è definita in climatologia, che ha prodotto il passaggio dalla stabilità all’instabilità dei grandi cicli del clima.Sorgenti dannose
Le sorgenti dei campi artificiali, cui si riferisce il provvedimento governativo, sono pressoché tutte direzionali e questo implica che le persone esposte nell’area irraggiata potrebbero avere danni sanitari, in dipendenza dalla durata dell’esposizione. Nel caso dei radar l’impatto sembrerebbe minore perché la sorgente è usualmente in rotazione e l’emissione ha carattere pulsato. L’esposizione su una determinata area si ha quindi solo quando il fascio radiativo la incrocia; poi, il treno d’onde emesso, che ha la durata del μs, “annegato” in un tempo di ripetizione del segnale mille volte più grande. Sta di fatto però che nella situazione concreta, per esempio del radar di Potenza Picena, l’eccesso di tumori rispetto all’atteso registrato in una ben precisa area della cittadina suggerisce l’associazione tra il danno e la radiazione, che spetterebbe ora a una rigorosa indagine epidemiologica convalidare. Di certo i valori di campo elettrico che si possono stimare all’interno della testa per un campo incidente di 130 V/m – vedi il già citato articolo – registrano 17,5 V/m, ancora a 5 cm dentro il cervello: ben al di sopra dei 6 V/m fissati dalla norma come valore di attenzione, e ben fuori dalla testa! Si dirà che il radar è un dispositivo militare, assai poco diffuso nel territorio; non così gli impianti Wi-Fi o della telefonia mobile, che operano nella stessa banda di frequenza dei radar e talora sono pari anche per potenza irraggiata. Per questi apparati viene meno il carattere di forte intermittenza tipico dei radar, perché le antenne emettono con continuità, e non per impulsi, su un arco di ore molto ampio, aumentando così, già per questo solo fattore, il rischio di danno sanitario. Da dove questo rischio? È ormai luogo comune affermare che il corpo umano è un organismo bio-elettrico, e questo è vero anche per la cellula e i suoi componenti. La membrana cellulare è attraversata da flussi ionici, le correnti ioniche, fondamentali nel regolare i livelli di concentrazione delle varie specie ioniche all’interno del citosol. La cellula nel suo insieme, ma i microtubuli del citoscheletro – le “ossa” della cellula – e la membrana cellulare e le proteine di membrana sono animati da incessanti moti vibratori che, in conseguenza delle distorsioni nella distribuzione delle cariche elettriche elementari in essi presenti, si comportano secondo le leggi dell’elettromagnetismo classico come vere e proprie antenne; che emettono su un amplissimo spettro di frequenze, da pochi Hertz (Hz) al TeraHertz (THz = 1.000 miliardi di Hz), radiofrequenze e microonde incluse. Sono i campi elettromagnetici (CEM) endogeni e la loro rilevazione sperimentale è un fatto scientifico recente. Il rischio sanitario, associato agli effetti specifici delle onde elettromagnetiche emesse dalle antenne, è collegato alle variazioni delle correnti ioniche attraverso la membrana cellulare e ai fenomeni di risonanza nell’accoppiamento tra le frequenze del campo indotto dalle antenne e le frequenze dei CEM endogeni. I fenomeni di risonanza possono modificare in modo rilevante gli scambi energetici e metabolici dell’attività cellulare. L’alterazione dei flussi ionici attraverso la membrana a causa del campo indotto, come nello studiatissimo caso dell’efflusso degli ioni calcio dalle cellule cerebrali, incide sulla regolazione delle concentrazioni ioniche nel citosol di ogni cellula, che sono le registe del sistema di comunicazione che governa le attività basilari delle cellule e il loro coordinamento. Errori nel trattamento dell’informazione cellulare sono responsabili di cancri, diabeti e autoimmunità. Pur in assenza di parte di questi dati e del completamento di queste osservazioni, l’International Agency for Research on Cancer (IARC) concluse nel 2011 che vi fossero evidenze sufficienti per classificare nel gruppo B2, cioè come possibili cancerogeni, i campi elettromagnetici alle frequenze radio, con evidenze limited tra gli utenti della telefonia mobile in rapporto all’insorgenza di gliomi e di neuromi acustici, inadequate invece per trarre conclusioni su altri tipi di cancro. Nel comunicato stampa di presentazione della monografia (vol. 102, 2013) il gruppo di lavoro dello IARC ricordava che sull’arco di dieci anni, dal 2004, era stato registrato un incremento del 40% del rischio di glioma nella categoria di utenti che usa di più il telefono cellulare (30 minuti al giorno per un periodo di 10 anni).Sottovalutazione del rischio
Il rischio sanitario attuale è fortemente sottovalutato, rispetto ai danni già in corso, per la mancanza, grave, di adeguate ed estese indagini epedemiologiche da parte delle istituzioni pubbliche preposte. Aumentare i limiti d’esposizione sarebbe un atto di irresponsabile aggravemento, ma anche un cedimento alle pressioni delle industrie del settore; vergognoso, se attuato in nome del progresso, e stoltamente dimentico del fatto che proprio la prima introduzione degli standard su radiofrequenze e microonde, negli anni Cinquanta, e il loro successivo abbassamento è stata storicamente la molla per l’affermarsi di tecnologie migliori e più sicure. Basta guardare a come erano i primi cellulari nei film di vent’anni fa.Potrebbero Interessarti
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